Nella giungla di norme tributarie è bene affidarsi a professionisti del settore. Lo studio di diritto commerciale e tributario internazionale Caporaso & Partners è operante in particolare in Cuba, Panama, Venezuela, Italia, e Lettonia.
Creiamo strutture giuridiche per fare business a bassa o in assenza di tassazione. Assistiamo i clienti per residenze estere, conti bancari esteri, presenza del business nei paesi esteri dove sono registrati.
Inoltre, affianchiamo imprese e persone con consulenza e assistenza contro l’Agenzia delle Entrate, Commissioni tributarie e alla Corte di cassazione (Tribunali competenti per i tributi in Italia).
Si assiste infatti - con la ripartenza degli accertamenti fiscali dell’Agenzia delle entrate post COVID - a una rinnovata presenza di rischio fiscale – che occorre impugnare contro un’illegittima notifica di cartelle esattoriali e conseguenti contenziosi fiscali.
Lo studio Caporaso & Partners è comunque ottimista, visto che oggi c’è una maggiore consapevolezza da parte dell’Amministrazione finanziaria sulla presunta evasione/elusione fiscale sui piccoli contribuenti e medie imprese.
Con la nostra consulenza preventiva, puntiamo ad evitare che gli atti di pignoramento blocchino persone e imprese. Lo studio è anche un punto di riferimento per la gestione dei patrimoni personali e di famiglia.
Affidarsi a un esperto per l’interpretazione della giurisprudenza aiuta ad evitare brutte sorprese in futuro
Infatti, a oltre due anni dall’inizio della pandemia in Italia, riparte il trasferimento della residenza fiscale degli italiani, trasferimento in particolare delle persone fisiche, che comporta però complicazioni fiscali legate al trasferimento di residenza spesso non semplici da giustificare all’Agenzia delle entrate.
L’individuazione della residenza è infatti di fondamentale importanza: sulla base del worldwide principle taxation (articolo 3, comma 1, del Tuir), il residente fiscale italiano è tenuto a dichiarare, oltre a redditi e patrimonio in Italia, anche quanto prodotto o detenuto all’estero.
Per molti contribuenti con interessi diffusi in Italia e in altro paese, la determinazione della residenza presenta ampi margini di incertezza, che richiedono un’analisi differenziata a seconda della presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni o dell’eventuale trasferimento in presunti “paradisi fiscali”.
Fiscalità e requisiti per la residenza
La prima verifica richiede di individuare se ricorre uno dei tre criteri alternativi previsti dall’articolo 2, comma 2, del Tuir per determinare la residenza in Italia:
1. iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente,
2. domicilio
3. residenza nel territorio dello Stato, ex articolo 43 del Codice civile.
Quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) è presente almeno uno dei tre requisiti, il contribuente è fiscalmente residente in Italia. Occhio però alla convenzione contro le doppie imposizioni che dovrà necessariamente assoggettare a imposizione il reddito mondiale. A prescindere dall’eventuale utilizzo concomitante di tale criterio da parte dello Stato estero, con evidenti rischi di doppia tassazione.
Sugli italiani che hanno trasferito la residenza in uno Stato non white list (ovvero black list), grava l’onere di provare l’effettiva residenza estera (articolo 2, comma 2-bis, Tuir).
Nel caso invece, più frequente, in cui il contribuente risieda fiscalmente – in virtù delle legislazioni locali – in due paesi “convenzionati”, opera il divieto di doppia residenza previsto dall’articolo 4 del modello Ocse.
L’accordo pattizio è infatti norma speciale, sovraordinata alla legge nazionale: pertanto, le disposizioni concernenti le imposte sul reddito si applicano «fatti salvi gli accordi internazionali» (ex articolo 75 del Dpr 600/1973) e le disposizioni del Tuir si applicano in luogo dell’accordo internazionale soltanto se più favorevoli al contribuente (articolo 169 del Tuir).
Le regole con i paesi che hanno stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni estere:
In presenza di una convenzione occorre infatti applicare la regola del cosiddetto tie break rule per determinare l’unica residenza del contribuente sulla base di quest’ordine gerarchico:
1. disposizione di abitazione permanente;
2. centro degli interessi vitali;
3. luogo di soggiorno abituale;
4. nazionalità;
5. accordo tra Stati.
Secondo tali regole il contribuente sarà residente nel Paese dove dispone di un’abitazione, e soltanto quando dispone di almeno un’abitazione in entrambi i paesi si ricorrerà al criterio degli interessi vitali, siano essi di natura economica o sociale/familiare.
Questi ultimi tendono ad avere un peso maggiore nell’individuazione della residenza, secondo la prevalente giurisprudenza in Italia e della Ue (Tra tutte, Cgue C-262/99, Louloudakis).
Nell’ordine convenzionale emerge come il criterio del soggiorno per almeno 183 giorni, ma è determinante solo al terzo livello, quando gli interessi vitali sono diffusi in entrambi i paesi convenzionati.
In presenza di convenzione, infatti, la legge nazionale deve riconoscere la residenza sulla base dell’accordo contro le doppie imposizioni.
Occorre quindi impugnare con ricorso tempestivo
La giurisprudenza italiana individua erroneamente la residenza italiana attribuendo presunzione assoluta alla mancata cancellazione all’anagrafe, a prescindere dall’effettivo trasferimento in un altro Stato convenzionato (da ultimo, vedi ordinanza Cassazione 1355/2022).
Se la norma interna italiana viene comparata alla regola convenzionale delle doppie imposizioni, sono evidenti i disallineamenti, in particolare in riferimento alla rilevanza dell’iscrizione all’anagrafe, requisito non richiesto in ambito convenzionale e sconosciuto a molti paesi.
Quindi, alla luce delle ondivaghe sentenze di legittimità, e della sempre più accentuata mobilità in ambito internazionale, occorre impugnare tempestivamente con ricorso tempestivo la rilevanza del requisito formale anagrafico.