Esterovestizione societaria UE: occorre valutare la natura artificiosa dell’esterovestizione che si realizza, sia per le persone fisiche che per le società, allorquando si verifica una dissociazione tra la “residenza fiscale reale” del soggetto passivo (localizzata in Italia) e la “residenza fiscale fittizia” (formalmente localizzata all’estero).
La normativa sostanziale di riferimento è contenuta nel testo unico imposte sui redditi e, segnatamente: l’articolo articolo 73, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ, in altre società ed enti se, in alternativa:
- Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ, da soggetti residenti nel territorio dello Stato e sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato. In ambito internazionale, con il precipuo scopo di evitare profili di doppia imposizione giuridica, (per espressa volontà dell’OCSE i trattati non coprono la doppia tassazione economica, quello è compito delle direttive Europee e della Corte di Giustizia Europea ed eventualmente delle norme domestiche) occorre fare riferimento al modello Ocse di Convenzione internazionale e, in particolare, all’articolo 4, che detta le regole per dirimere i casi di doppia residenza (c.d. dual residence): paragrafo
Esterovestizione In caso di doppia Residenza
- Qualora una persona fisica sia residente in entrambi gli Stati contraenti, il suo status sarà determinato come segue: si considera residente soltanto nello Stato in cui ha un’abitazione permanente a sua disposizione;
- se ha un’abitazione permanente a sua disposizione in entrambi gli Stati, si considera residente soltanto dello Stato presso il quale i suoi rapporti personali ed economici sono più stretti (c.d. centro degli interessi vitali);
- se lo Stato in cui ha il centro dei suoi interessi vitali non può essere determinato, o
- se non ha un domicilio permanente a sua disposizione in nessuno dei due Stati, sarà considerato residente solo dello Stato in cui ha la dimora abituale; se ha la dimora abituale in entrambi gli Stati o in nessuno di essi, sarà considerato residente nello stato in cui ha la cittadinanza; se è cittadino di entrambi gli Stati o di nessuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolveranno la questione di comune accordo.
Nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).
La Corte di cassazione, sentenza n. 14527/19, prevede che una struttura amministrativa modesta con limitati costi di gestione, che consegue in un altro Stato membro specifici benefici fiscali, non costituisce di per sé una costruzione di puro artificio, attribuendo preminente valore alla libertà di stabilimento prevista dal diritto comunitario.
Quando il reddito è sottoposto a tassazione in Italia
Corte di cassazione, ordinanza n. 6476/2021: al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero (ex multis, cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 16697 del 21.06.2019; Corte di cassazione, sentenza n. 33234 del 21.12.2018; Corte di cassazione, sentenza n. 2869 del 07.02.2013).
La nozione di “sede dell'amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva”, intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente. Estremi Massima Corte di giustizia UE Causa C-196/04 (Cadbury Schweppes).
Una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato ex Corte di giustizia UE sentenza Planzer Luxembourg Sàrl: la nozione di sede dell'attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest'ultimo.
Residenza fiscale di una società lussemburghese
Ulteriori importanti principi di diritto sono rinvenibili nella recente Ordinanza della Sentenza n. 17849/2021 pubblicata in data 22.06.2021, nella quale gli Ermellini di sono nuovamente pronunciati in tema di residenza fiscale di una società lussemburghese. L’Amministrazione finanziaria, in esito ad una verifica fiscale, aveva sostenuto che la società di diritto estero costituiva una sorta di “cassaforte” creata al solo scopo di attuare una pianificazione fiscale, finalizzata a conseguire indebiti risparmi d'imposta.
Di contro, i consulenti fiscali della società avevano confutato la tesi espressa dall’ufficio, evidenziando che una società che si limita a gestire partecipazioni societarie, la tesoreria di gruppo, nonché marchi e brevetti, in Italia svolgerebbe sicuramente una attività economica effettiva, seppure non dotata di una struttura, di mezzi e di personale, e che non può di conseguenza ipotizzarsi che non sia effettiva la medesima attività solo perché svolta in un altro Stato membro, poiché siffatta interpretazione non potrebbe che essere considerata “discriminatoria” alla stregua del diritto comunitario per violazione del comma 2 dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Gli Ermellini hanno dapprima fornito la definizione di esterovestizione, come un fenomeno ascrivibile alla fittizia localizzazione della residenza fiscale di una persona giuridica all'estero, in particolare in quei Paesi che offrono un trattamento fiscale più vantaggioso rispetto a quello previsto a livello nazionale, ove il soggetto effettivamente opera, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
World wide taxation
Trattasi di una particolare espressione dell'abuso di diritto, il cui divieto è ormai pacificamente riconosciuto come principio generale anche nel diritto tributario europeo e nel diritto dei singoli Stati membri (cfr. Corte di cassazione SS.UU. Sentenza n. 30055 del 23.12.2008), attuata mediante tecniche complesse, al solo scopo di sottrarre a tassazione materia imponibile nel Paese di produzione del reddito. In tale contesto, viene creata una realtà fittizia all'estero, sfruttando il regime di esenzione dei dividendi, raggirando il principio conosciuto tra gli addetti ai lavori come “worldwide taxation” (rectius tassazione dei redditi su base mondiale) a cui soggiacciono i soggetti residenti che devono essere tassati per i redditi ovunque prodotti nel mondo.
Ciò posto, come opportunamente evidenziato dai Supremi Giudici di legittimità, l'obiettivo della libertà di stabilimento è quello di permettere a un cittadino di uno Stato membro di esercitare una attività economica in un altro Stato membro e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.
Di conseguenza, affinché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.
La suprema Corte di cassazione ha ribadito basato sulla considerazione che gli accertamenti si fondavano su un unico presupposto, costituito dalla funzione rivestita dalla società, la quale sarebbe destituita di causa economica.
Controllo della società italiana
Avuto riguardo alla società controllata lussemburghese, il giudice di merito ha infatti posto in evidenza: il controllo esercitato sulla stessa da parte della casa madre italiana; la mera gestione dei finanziamenti erogati alle società del gruppo e delle royalties maturate su marchi e brevetti; la carenza di addetti alle sue dipendenze e di una sede, risultando domiciliata presso una fiduciaria lussemburghese; la carica di amministratori ricoperta da due soci di riferimento della società italiana; l’influenza dominante esercitata da soggetti italiani sulle scelte della società lussemburghese; la circostanza che una persona fisica residente in Italia, amministratore della casa madre italiana, sarebbe il “il dominus di tutte le scelte strategiche ed operative”; la veste meramente formale delle cariche ricoperte dagli amministratori lussemburghesi, che rimarrebbero all'oscuro delle scelte assunte in Italia. In definitiva, valorizzando i suddetti elementi, univoci e concordanti offerti dall'Amministrazione finanziaria, tra i quali assumono particolare rilievo l'assenza di una sede effettiva e di addetti alle dipendenze della società, oltre che la composizione dell'organo amministrativo e la carenza di un autonomo centro decisionale diverso da quello della controllante. All'esito della valutazione dei suddetti elementi, il Giudice ha ritenuto che “risulta «arduo identificare una specifica funzione che la società lussemburghese debba svolgere, rispondente ad una causa economica, diversa da quella di conseguire un risparmio di imposta, escludendo così il carattere abusivo della delocalizzazione, intesa a pianificare la gestione fiscale del gruppo.