Panama papers, tutti gli ostacoli per il Fisco italiano
di Davide Gangale | 07 Aprile 2016
Sul caso Panama papers, dopo il Fisco tedesco e australiano, ha iniziato a muoversi anche l'Agenzia delle Entrate. Innanzitutto per ottenere la documentazione, cioè la lista dei clienti italiani di Mossack Fonseca.
Le autorità italiane non possono comprarla: trattandosi di dati 'rubati', sarebbe ricettazione. A differenza di altri Paesi europei come la Germania, che invece possono farlo e da cui Roma potrebbe acquisire l'elenco, come fu per la lista Falciani arrivata dalla Francia. È il primo passo per far partire le necessarie verifiche. Si è mossa anche la Guardia di finanza, su delega della procura di Torino, che ha avviato indagini per riciclaggio.
INDAGINI COMPLESSE. L'impresa, però, si annuncia piuttosto complessa.
L'avvocato Giovanni Caporaso vive a Panama da 25 anni e da più di 30 si occupa di società offshore.
Ha ideato il sito paradisifiscali.org e viene considerato il guru italiano di un settore decisamente controverso.
Raggiunto in Centroamerica via Skype da Lettera43.it, Caporaso spiega perché, a suo giudizio, governo italiano e magistratura non avranno vita facile.
CONVENZIONE FANTASMA. «Panama e Italia hanno sottoscritto unaconvenzione per lo scambio di informazioni fiscali, che però non è ancora entrata in vigore», afferma Caporaso.
A certe condizioni, il governo panamense «può comunque fornire informazioni», per esempio «se vengono richieste tramite rogatoria».
Ma per poterlo fare deve prima domandarle a chi a sua volta le possiede.
E a Panama «le informazioni sul beneficiario ultimo di una società sono depositate esclusivamente presso l'agente residente che lo rappresenta, un avvocato oppure uno studio legale».
Cosa succederebbe se l'agente si rifiutasse di fornirle? «Per legge non può farlo», risponde Caporaso, «però le informazioni possono andare perse. In questo caso, lo studio sarebbe penalizzato con una multa di 5 mila dollari e poi, in caso di recidiva, potrebbe perdere lo status di agente residente».
MA LA 'PRIVACY' HA UN PREZZO. In realtà il rischio è più alto e contempla la possibilità, per l'agente residente, di essere iscritto nel registro degli indagati da parte dell'autorità giudiziaria del Paese che avanza la rogatoria, con l'ipotesi di riciclaggio.
Reato perseguito anche a Panama, che nel 2015 ha aggiornato il proprio ordinamento per contrastare sia il riciclaggio, sia il finanziamento del terrorismo.
Se le autorità stabilissero che la perdita di informazioni ha natura dolosa, precisa Caporaso, «potrebbero prendere altri provvedimenti».
DOMANDA. Che idea si è fatto del caso Panama papers?
RISPOSTA. Si tratta di furto e vendita illegale di informazioni riservate. Era già successo alla Hsbc con la lista Falciani. Questa volta è stato colpito un grande studio legale di Panama, che evidentemente non aveva preso le misure di sicurezza necessarie.
D. Da chi arrivano i documenti, secondo lei?
R. Da qualcuno che lavorava all'interno dello studio. Le grandi banche e i grandi studi legali hanno un elevato numero di impiegati, non riescono a gestire direttamente le informazioni sui clienti. I quali a volte si sentono più sicuri affidandosi ai big, ma non è così.
D. Si parla di 800 clienti italiani di Mossack Fonseca. Cosa rischia chi ha una società offshore o un conto a Panama?
R. Se lo ha dichiarato non rischia nulla, non c'è nessuna legge che impedisca di avere un conto o una società a Panama.
D. Non tutti però lo dichiarano...
R. No, molti non lo dichiarano, perché si sentono più protetti così.
D. Protetti?
R. Sì. Mi lasci dire che queste liste lasciano il tempo che trovano.
D. Perché?
R. Innanzitutto occorre capire che tipo di documenti sono stati forniti ai giornalisti. E poi bisogna vedere se le informazioni che contengono sono vere oppure no.
D. In che senso?
R. In genearale gli studi legali sigillano piuttosto bene le informazioni sensibili. Può anche darsi che i Panama papers non abbiano riscontri con la realtà.
D. Se il Fisco italiano chiedesse a Panama i dati degli italiani coinvolti, Panama potrebbe rifiutare?
R. Panama ha un accordo con l'Italia e potrebbe quindi chiedere agli studi legali di fornire informazioni. A quel punto, però, occorre vedere cosa fanno gli avvocati. Ognuno agisce in modo indipendente e secondo la sua coscienza.
D. Cosa succederebbe se un avvocato si rifiutasse di fornire le informazioni richieste?
R. Per legge non può farlo, però le informazioni possono andare perse. In questo caso lo studio sarebbe penalizzato con una multa di 5 mila dollari e poi, in caso di recidiva, potrebbe perdere lo status di agente residente.
D. E se le autorità stabilissero che la perdita di informazioni ha natura dolosa?
R. Potrebbero prendere altri provvedimenti contro l'agente residente, ma anche qui occorre distinguere caso per caso.
D. In che senso?
R. Se per esempio la creazione di una determinata società fosse stata richiesta all'agente residente da un altro avvocato di un altro Paese, anch'esso regolamentato da una legge simile a quella di Panama, l'agente residente sarebbe tenuto ad avere solamente le informazioni relative a quest'ultimo, e non quelle relative al beneficiario ultimo della società. Dovrebbe quindi fornire alle autorità soltanto le informazioni sull'avvocato, e poi sarebbe costui a dover dare le informazioni sul beneficiario ultimo.
D. Questa sorta di intermediazione è un fenomeno frequente a Panama?
R. Ci sono studi che lavorano esclusivamente per altri avvocati, specialmente quelli più grandi come Mossack Fonseca, che ha uffici in tutto il mondo. Raramente trattano in modo diretto con il beneficiario.
D. Cosa prevede l'accordo tra Panama e Italia a cui prima faceva riferimento?
R. È un accordo analogo a quello che tutti i cosiddetti paradisi fiscali stanno ormai firmando per uscire dalle famose liste nere o liste grigie. È un'intesa per lo scambio di informazioni, ma le richieste devono essere documentate.
D. Cosa significa?
R. Che il Fisco italiano non può chiedere informazioni a strascico, su tutti gli italiani che hanno una società a Panama. Le richieste devono essere individuali e giustificate.
D. Le risulta quindi che Panama abbia sottoscritto una convezione con l'Italia per lo scambio di informazioni fiscali?
R. È stata sottoscritta, ma non è ancora entrata in vigore. A certe condizioni, però, il governo di Panama può comunque fornire informazioni.
D. Per esempio?
R. Se vengono richieste tramite rogatoria. Oppure se riguardano una persona indagata per particolari reati, per cui il governo preferisce dare informazioni anziché negarle.
D. Come funziona con la rogatoria?
R. Il punto è che a Panama le informazioni sul beneficiario ultimo di una società sono depositate esclusivamente presso l'agente residente che rappresenta quella società, un avvocato oppure uno studio legale.
D. Quindi?
R. Lo studio legale è l'unico a conoscere l'identità del reale beneficiario. E tutela gli interessi dei propri clienti.
D. Deve anche rispettare le leggi vigenti, però, no?
R. Sì, deve ottemperare.
«A Panama sono residenti tra i 6 e gli 8 mila italiani, molti non registrati»
D. Cosa cambia se invece si ha la residenza a Panama?
R. Si ha diritto ad avere tutte le società che si vuole e non bisogna dichiarare nulla al governo italiano. L'accertamento può scattare quando c'è il dubbio che la residenza non sia effettiva.
D. Si spieghi meglio.
R. Quando il cittadino dichiara di essere residente in un Paese considerato un paradiso fiscale, si inverte l'onere della prova. È lui a dover provare che vive realmente là.
D. Per le società, invece, gli accertamenti possono riguardare sospette esterovestizioni?
R. Una società panamense è una società panamense, non c'è esterovestizione. L'esterovestizone si verifica quando una società operante per esempio in Italia, finge di farlo dall'estero.
D. Quali sono le società italiane che operano a Panama?
R. Enel, per dirne una. Poi ci sono tutte quelle imprese che hanno lavorato per costruire la metropolitana e allargare il canale, come Salini Impregilo. Società italiane che hanno aperto un ufficio a Panama, hanno contratti a Panama, ma sono sottoposte alle leggi italiane.
D. Come funziona in questo caso il pagamento delle tasse?
R. Queste società devono dichiarare in patria i guadagni realizzati a Panama. Possono detrarre le tasse pagate nel Paese centroamericano, e versare all'erario italiano la differenza.
D. Quanti sono invece gli italiani residenti a Panama?
R. Non c'è una cifra esatta, molti non si sono registrati in ambasciata. Attualmente si stima però che siano tra i 6 e gli 8 mila (secondo l'ultimo censimento dell'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, risalente al 2012, sono 3.688, ndr).
D. Tutti residenti?
R. Tra residenti e... chiamiamoli residenti parziali. Molti italiani hanno preso la residenza a Panama, ma non ci vivono. Magari, però, non stanno nemmeno in Italia. Occorre sempre verificare.
D. Per quanto riguarda il riciclaggio, Panama ha aderito alla convenzione internazionale che lo considera reato?
R. Sì, ha aderito, e le pene previste sono piuttosto pesanti. Ma il riciclaggio vale solo per certi reati, non si estende per esempio all'autoriciclaggio. Che dal mio punto di vista è un reato assurdo.
D. L'autoriciclaggio non è punito a Panama?
R. No, perché per i residenti a Panama non esiste il reato di evasione fiscale. Il caso non sussiste.
D. Quindi questo discorso vale soltanto per i residenti?
R. Guardi, le ripeto, i governi stranieri, compreso quello italiano, possono richiedere informazioni anche per sospetta evasione fiscale. Ma devono spiegare perché lo fanno e giustificare le loro richieste esibendo dati certi.
D. Perché secondo lei il reato di autoriciclaggio è assurdo?
R. Perché se io ho evaso le tasse, sono punibile per evasione fiscale. Aggiungere un altro reato, perché sto usando quei soldi per intraprendere un'attività economica, significa mettere sullo stesso piano l'evasore e il trafficante di droga che ricicla i soldi di un traffico illecito.
D. Entrambi danneggiano la società, però, non trova?
R. Senta, il problema è che sono stati creati dei reati ad hoc, da usare per poter richiedere informazioni nei Paesi in cui questi reati non esistono. È terrorismo psicologico. Lo Stato italiano rischia di fallire, quindi terrorizza i cittadini: se non mi paghi le tasse e poi usi quei soldi, allora sei un riciclatore, sei come un trafficante di droga. Per me tutto questo è assurdo.
D. Le azioni al portatore sono ancora un sistema diffuso a Panama?
R. Sì, sono permesse, ma occorre depositarle presso un custode autorizzato. Uno studio legale oppure una banca. I custodi devono comunicare al tribunale di essere in possesso delle azioni al portatore di una determinata azienda, ma non sono tenuti a fornire il nome del beneficiario.
D. Quali sono quindi i loro obblighi?
R. Devono soltanto comunicare di essere in possesso dei dati del beneficiario. Per ogni evenienza, per esempio nel caso in cui ci fosse un'indagine o qualcosa di simile, per cui potrebbe essere loro richiesto di fornire informazioni alle autorità.
D. Lei vive a Panama da 25 anni. È mai capitato che le autorità locali abbiano fatto indagini su una pluralità di soggetti?
R. No, devo essere sincero. In 25 anni di attvità a Panama, a me personalmente è successo per la prima volta nel 2016. Mi è stato chiesto di fornire informazioni su un cliente, non italiano, che non aveva nulla da nascondere. Insomma, la stretta mi sembra più grave in Svizzera o in Lussemburgo, dove è iniziata una caccia alle streghe.
D. Addirittura...
R. Sì. Lo studio Mossack Fonseca è vittima di un furto di informazioni. Allo stato attuale non sappiamo quanti dei nomi in lista avessero dichiarato conti e società e quanti no. Quanti siano residenti nei Paesi di cui sono cittadini e quanti no. Ovviamente, nel caso dei vip e delle personalità politiche, il sospetto è che non abbiano dichiarato nulla. Ma insomma, se io avessi il re di Spagna come mio cliente, non lo metterei mica dentro al database assieme a tutti gli altri.
D. Cosa intende dire?
R. Che ancora è un po' presto per sapere cosa siano realmente i Panama papers. Di sicuro c'è stato un furto di informazioni e c'è una lista nera. Se però a questa lista sono stati aggiunti dei nomi, finché non si pronuncia Mossack Fonseca o non vengono resi pubblici i documenti, non lo possiamo sapere. La stampa, quando sente l'odore dello scandalo, si tuffa a capofitto. Ma non è detto che poi lo scandalo o lo scoop effettivamente ci siano.